Disturbi dell’alimentazione: ANORESSIA NERVOSA

I disturbi dell’alimentazione (bulimia, anoressia e binge eating), sembrano essere i disturbi della nostra epoca, con un aumento del 40% rispetto al 2019 (dati relativi alla ricerca epidemiologica finanziata dal Ministero della Salute). L’età di esordio si è notevolmente abbassata negli ultimi decenni, con diagnosi sempre più frequenti in età preadolescenziale e infantile (anche 8-9 anni). Tali disturbi colpiscono prevalentemente la popolazione femminile, con un rapporto di 9:1 tra femmine e maschi.

L’anoressia è un quadro clinico psicosomatico tra i più complessi, perché coinvolge tutta la dinamica psichica: dalla cognizione ai sentimenti alle emozioni, insomma all’intera affettività. È una sindrome clinica difficile da comprendere, per le enormi difese che la persona ha messo in atto. L’anoressica vive con un grosso peso legato al corpo, che la fa sentire sempre diversa rispetto agli altri, fino al punto di volersi annullare.

I vissuti di chi soffre di anoressia sono: sofferenza, paura, angoscia, malinconia, solitudine, depressione, inadeguatezza e senso di vuoto. È una vita fatta di dolore, ansia, di angosce e pensieri che opprimono tutti i giorni; anche se a volte un bel sorriso compare sul viso, come a indossare una maschera di circostanza. L’anoressica vive una grande angoscia, senza capire perché, fino a diventare consapevole di vivere una vita dove la solitudine è l’unica compagna. Vive nella paura, per cui ogni piccola cosa diventa una montagna enorme da superare. Tende ad isolarsi accentuando così la paura della solitudine e l’incapacità di stare con le altre persone.

La solitudine è la sua casa, come testimoniano queste parole di una ragazza che ha sofferto di Anoressia:

“La solitudine ti stringe il cuore fino a farti male…

…ancora una volta le porte sono state chiuse davanti a una misera richiesta di speranza…

…continui a bussare, ma nessuno verrà più a riaprire…

Ancora una volta sei stata abbandonata come un cane qualsiasi”

 

Il corpo diventa l’unico strumento di cui si dispone per comunicare un disagio altrimenti indicibile. È un corpo invisibile, evanescente, che riflette la profondità della sofferenza esistenziale della persona. La preoccupazione per il peso, il controllo del cibo, il digiuno, le abbuffate, il vomito ecc. sono solo la punta dell’iceberg di una patologia assai più invasiva che riguarda il concetto di sé e l’identità personale.

Nella maggior parte dei casi, vi è una convinzione di essere completamente impotenti e inefficaci. La patologia spesso si manifesta in “brave bambine” che hanno passato gran parte della loro vita a compiacere i genitori. La posizione difensiva dell’essere una bambina perfetta di solito nasconde un profondo senso di inutilità. Per evitare di sentirsi inadatta, la ragazza anoressica cerca di compiacere gli altri per suscitare l’approvazione e l’accettazione di sé. Per l’anoressica “Essere” vuole dire “Essere utile”, ecco perché è spesso dipendente dalle relazioni.

L’accondiscendenza e l’adeguarsi alle aspettative altrui impedisce la libera espressione di Sé, dei propri pensieri e sentimenti. L’anoressica si allontana così dalla propria natura, dal proprio vero sé. Spesso è presente ipersensibilità al giudizio così come timore del rifiuto. Le azioni sono il più delle volte una risposta a richieste esterne, raramente è presente la sensazione di fare qualcosa perché la si vuole davvero fare.

Un’altra caratteristica del disturbo è l’elevato grado di controllo che produce un senso di benessere derivante dal sentirsi potente, a coprire il senso di impotenza e la vulnerabilità sottostanti. Il controllo è usato come antidoto della paura, e le persone che soffrono di questi disturbi hanno paura dei loro sentimenti più di ogni altra cosa. Non sono in contatto con i bisogni fisici del loro corpo, negati, né conoscono il loro linguaggio emotivo. Il pensiero costante del cibo le distrae dal corpo e dalle emozioni. Fanno di tutto per non provare sentimenti, per evitare delusioni, per non contattare emozioni spiacevoli (rabbia, tristezza, paura). Vivono “nella testa”, in una realtà idealizzata dove predomina l’intelletto sulla realtà somatica. Anche l’iperattività che si manifesta in alcuni casi, è un modo per evadere da Sé, per l’incapacità di STARE con i propri sentimenti.

Il corpo è la sede delle emozioni, ed essere in contatto con esse per queste persone è destabilizzante, come scrive una ragazza:

“Se la rabbia potesse esplodere,

sarebbe un uragano devastante, un diluvio di lacrime, un ululato nella notte.

Se ascoltassi l’urgenza, correrei, griderei, piangerei”.

Il cibo, a livello simbolico, assume un significato che va al di là del nutrimento fisico. La fame, come metafora, è l’espressione della fame d’amore, dove il cibo diventa il sostituto del nutrimento affettivo. Quando siamo neonati, la prima esperienza dell’amore è associata alla figura materna che ci tiene tra le braccia, ci sostiene e ci nutre. C’è un profondo collegamento tra cibo e amore; mangiare può essere un atto di conforto, di calore, così come un modo per “spegnere” sentimenti sgradevoli che iniziano ad affiorare in superficie. Come una donna che mi descriveva così le sue abbuffate “Ogni volta che mi sale la rabbia, che mi sento frustrata per la giornata o che sono infastidita da qualcosa, avverto un nodo alla gola e subito dopo sento il bisogno di “mandarlo giù”. Lo devo spegnere perché esprimerlo sarebbe troppo pauroso. Mi abbuffo per farlo scendere dalla gola alla pancia”.

Imparare a definire la propria fame, distinguendo la fame fisica da quella emotiva, aiuta a sviluppare una maggiore consapevolezza di ciò di cui si è affamati, cominciando a cercare il nutrimento giusto (che spesso non è cibo). Il nutrimento di cui l’anoressica ha bisogno è la cura di Sé come persona: rispettarsi, volersi bene e abbandonare la lotta. Ha bisogno di imparare modalità più funzionali e adattive per esprimere i propri bisogni. Ciò implica la ricostruzione dell’immagine di sé, del proprio corpo, e il riconoscimento della propria volontà.

Un’altra parte essenziale del processo di guarigione dei disturbi alimentari consiste nel lasciare cadere ogni giudizio sui sentimenti e sviluppare la consapevolezza che i sentimenti non sono né “buoni” né “cattivi”. Gli unici sentimenti “negativi” sono quelli che non riusciamo ad accettare in noi stessi.

Le persone affette da Anoressia hanno una forza di volontà e una determinazione ineguagliabili (pensate a quanta ostinazione è necessaria per lottare letteralmente contro il proprio corpo sabotando l’istinto di autoconservazione). Questa stessa tenacia è una preziosa risorsa nel percorso terapeutico. Se incanalata verso una strada costruttiva, non più distruttiva, può mettere la persona nelle condizioni di raggiungere i propri obiettivi ed aspirazioni, realizzando una vita piena e gioiosa in cui non è più necessario “sopravvivere” corazzandosi dietro un’armatura, e dove si è finalmente liberi di esprimere sé stessi. Come testimoniano queste parole:

“Verrà un giorno dove il coraggio sarà più forte

della paura che mi inchioda in questa vita.

Verrà un tempo dove la forza riempirà il dolore.

Perché io sono nata di luce”.

Dott.ssa Elisa Zobbi, Psicologa-Psicoterapeuta, Psicologi Reggio Emilia.